Rifiutò la salvezza pur di non separarsi dal suo gran danese. Oggi, la vicenda della passeggera del Titanic è una delle più toccanti leggende d’amore tra uomo e animale.
A bordo del Titanic, “la nave dei sogni”, viaggiavano anche Ann Elizabeth Isham, passeggera di prima classe, e il suo gran danese, diretti negli Stati Uniti. Il viaggio, però, si trasformò in tragedia quando il colosso marino si scontrò con un iceberg, portando con sé nel gelo dell’Oceano Atlantico più di 1.500 vite.
Ann, figlia della buona società americana, aveva già preso posto su una scialuppa di salvataggio, come spettava alle donne della prima classe. Ma quando le venne comunicato che il suo cane, troppo grande, non avrebbe potuto salire a bordo, fece una scelta inimmaginabile: scese dalla scialuppa e tornò sul Titanic.
Non ci sono prove ufficiali che documentino ogni dettaglio di quel gesto, ma nessuna evidenza lo smentisce, e la storia di Ann Elizabeth Isham è diventata simbolo di un legame profondo e incondizionato.
Tra i corpi ritrovati nei giorni successivi al disastro, uno colpì particolarmente i soccorritori: quello di una donna che stringeva un cane tra le braccia. Per molti, era Ann, una delle sole quattro donne di prima classe a non sopravvivere alla tragedia.
A bordo del Titanic viaggiavano almeno dodici cani, tutti appartenenti a passeggeri di prima classe, come previsto dal regolamento dell’epoca. Solo tre si salvarono: due Pomerania e un Pechinese, di piccola taglia e trasportabili in braccio o nascosti in coperte.
Secondo una mostra del 2012 alla Widener University Art Gallery in Pennsylvania, è possibile che altri animali viaggiassero senza registrazione, ma per i cani di grossa taglia non c’erano possibilità: nessuno spazio, nessun compromesso.
Oltre un secolo dopo, la storia di Ann e del suo cane continua a commuovere. È raccontata come una leggenda nata nella tragedia, ma che celebra l’amore e la lealtà. In un mondo dove la salvezza personale era una priorità assoluta, una donna scelse di non abbandonare il proprio compagno di vita.
Non si trattò solo di coraggio o follia. Fu, forse, una delle espressioni più autentiche di cosa significhi amare davvero. E oggi, tra le tante storie tragiche del Titanic, quella di Ann Elizabeth Isham continua a vivere, non come un’anonima vittima, ma come un simbolo.
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