Trovata immobile vicino a un muro di pietra, una gattina bianca di pochi mesi viene accolta con amore nell’ultimo istante: un addio che diventa promessa di memoria.
Era rannicchiata vicino a un muro di pietra, piccola e bianca come un fiore caduto. Sembrava dormisse, ma al tatto era fredda e immobile. Nessun miagolio, nessun respiro. Avrà avuto appena due mesi: un’orecchia ferita, il pelo sporco, i segni di una vita iniziata già troppo dura. Era una tra tanti, invisibile agli occhi dei più, eppure in quell’istante era tutto, meritava di più.
Con un fazzoletto le hai pulito il mantello, parlandole piano come se potesse sentirti. Poi l’hai adagiata in una scatola, con la tua sciarpa come ultimo abbraccio. Non la conoscevi, eppure l’hai amata lo stesso. In quel gesto silenzioso c’era la dignità che ogni creatura merita: un addio che diventa un atto di rispetto, una carezza che attraversa il confine tra vita e memoria.
L’hai seppellita sotto un albero, coprendola con petali, perché anche una vita breve e invisibile contasse. Da quel momento hai capito che non passerai mai più oltre, che ogni piccolo essere incontrato merita almeno uno sguardo, un pensiero, un nome. Perché l’amore, anche nella sua forma più breve e fragile, lascia tracce profonde, e in quei gesti c’è la promessa di non dimenticare mai.
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