Era rannicchiato sul cemento, sanguinante e immobile, mentre le auto gli sfrecciavano accanto. Oggi Argo vive al sicuro, grazie a chi ha scelto di fermarsi.
Il dolore sotto una panchina, invisibile a tutti
Era lì, sul bordo di una strada trafficata, vicino a una panchina arrugginita. Un gatto magro, rannicchiato sotto il legno scheggiato del sedile, con il corpo premuto contro il cemento freddo. Un occhio era gonfio, semichiuso, devastato da una ferita profonda che stillava sangue e pus. Il pelo attorno era incrostato, opaco. Tremava piano, non solo per il freddo, ma per il dolore che gli pulsava nella testa. Le auto passavano una dopo l’altra, rumore assordante, fari che lo accecavano per un attimo e poi lo lasciavano di nuovo nel buio. Lui non si muoveva più. Non miagolava. Aveva provato all’inizio, quando la ferita era fresca, quando ancora sperava che qualcuno si fermasse. Poi aveva smesso, aspettando che il dolore si placasse o che tutto finisse. La panchina era il suo unico rifugio, un angolo di ombra in un mondo che non lo vedeva.
La pioggia, l’attesa e l’auto che si ferma
Passarono ore. Una pioggia leggera iniziò a cadere, bagnandogli il pelo e facendo bruciare ancora di più la ferita. Il respiro si fece corto. L’occhio sano restava fisso davanti a sé, come se guardasse un punto lontano dove il dolore non esisteva. Poi, contro ogni previsione, un’auto accostò davvero. Le frecce si accesero. Una portiera si aprì piano. Una voce bassa, preoccupata: «Povero… oddio, il suo occhio…». La persona si avvicinò con lentezza, senza gesti bruschi. Gli parlò piano, gli offrì la mano da annusare anche se lui non aveva più la forza di alzare la testa. Lo avvolse in un asciugamano trovato in macchina e lo sollevò con una delicatezza infinita, come se fosse fatto di vetro. In clinica intervennero subito. Pulirono la ferita, combatterono l’infezione, capirono che l’occhio non si poteva salvare. Ma lui lottò. Con la febbre alta, con il dolore, accettando il cibo dalla siringa, lasciandosi medicare senza graffiare.
Argo oggi: una vita nuova, con uno sguardo diverso
Lo chiamarono Argo, per l’occhio perduto ma anche per la forza di chi continua a guardare avanti anche con una vista sola. I primi giorni dopo l’operazione restava rintanato nel trasportino, tremando al rumore delle auto che arrivava dalla finestra. Poi, piano piano, una carezza più lunga, una voce che lo chiamava per nome, un raggio di sole sul davanzale. Oggi Argo cammina per casa con sicurezza, salta sul divano, si struscia contro le gambe di chi arriva, fa le fusa forti quando lo accarezzano dietro l’orecchio sano. L’occhio rimasto è luminoso, attento. Quando guarda fuori dalla finestra non trema più al passaggio delle macchine. Sa che non tutte passano oltre. Alcune si fermano. Alcune cambiano tutto. La panchina è ancora lì, vuota, lungo la strada. Ma sotto di essa non c’è più un gatto ferito ad aspettare la fine. Resta solo il ricordo di quanto poco basta, a volte, per salvare una vita e ridarle luce.