Accanto al corpo senza vita della madre, un cucciolo resta immobile tra i rifiuti finché alcune persone lo notano e lo strappano a una fine certa.
La discarica, il silenzio e l’attesa accanto alla madre
Tra cumuli di rifiuti abbandonati e odori acre che saturano l’aria, sotto un cielo basso e grigio, un cucciolo resta fermo. È piccolo, sporco di fango e cenere, il pelo incollato addosso dal freddo e dalla sporcizia. Non corre, non esplora, non cerca cibo. È seduto accanto a un corpo immobile. Sua madre. È rannicchiata su un fianco, gli occhi chiusi, il respiro assente. Il cucciolo le resta vicino, con il muso appoggiato al suo collo ormai freddo, come se quel contatto potesse bastare a farla rialzare. Ogni pochi minuti emette un guaito basso, confuso. La spinge piano con una zampa, poi la lecca sul muso, attendendo una risposta che non arriva. Attorno, sacchetti strappati, bottiglie rotte, resti di cibo marcio. Mosche ovunque. Il vento porta con sé odori pesanti. Ma lui non si muove. Abbandonarla sembra più spaventoso della fame e del freddo.
Le ore che passano e l’incontro con gli esseri umani
Il tempo scorre lento. Il sole cala, la temperatura scende. Il cucciolo trema, ma continua a rannicchiarsi contro il corpo della madre, cercando un calore che non c’è più. In lontananza si sentono voci umane. Passi tra i rifiuti, rumori metallici, qualcuno che lavora nella discarica o che cerca qualcosa di recuperabile. Poi una voce si ferma di colpo: «Dio mio… guarda lì». Il cucciolo alza la testa. Vede le figure avvicinarsi. Si irrigidisce, fa un passo indietro, ma non scappa. Torna subito accanto alla madre, come a proteggerla o a chiedere protezione. Le persone si avvicinano con cautela. Una si china, parla a voce bassissima: «Vieni, piccolo… vieni qui». Gli offrono un pezzo di pane. Lui annusa, ma non mangia subito. Guarda la madre, poi le mani tese. Dopo qualche istante si lascia prendere. Non oppone resistenza. Si lascia avvolgere in una giacca vecchia, si lascia portare via. Mentre si allontanano, però, volta la testa indietro. Un ultimo sguardo lungo verso il corpo che resta lì, tra i rifiuti.
Il rifugio, il silenzio e la lenta rinascita
Al rifugio lo lavano con delicatezza, gli danno latte caldo, gli preparano un posto morbido. Nei primi giorni non gioca. Non scodinzola. Resta raggomitolato in un angolo, con gli occhi fissi su un punto lontano, come se aspettasse ancora che lei arrivi a prenderlo. Le persone gli parlano piano, lo accarezzano senza forzarlo. Passano i giorni e, molto lentamente, qualcosa cambia. Una carezza più lunga del solito. Una voce che ripete il suo nuovo nome con dolcezza infinita. Un altro cucciolo che gli si avvicina per giocare. Oggi corre nel cortile. Insegue palline, salta sulle gambe di chi arriva, dorme tranquillo in un letto caldo. A volte, quando fuori piove forte o il vento porta odori strani, si ferma di colpo, alza il muso e sembra ascoltare qualcosa che solo lui può sentire. È vivo. È amato. E questo, in mezzo a tanto dolore, è un piccolo miracolo.